giovedì 10 novembre 2011

Scuola Crispi chiama le scuole del territorio VENERDI’ 11 per una MANIFESTAZIONE AL MIUR

AI GENITORI DEGLI ALUNNI DELLA SCUOLA DELL’ INFANZIA
(TUTTI: quelli della comunale e quelli della statale)

VENERDI’ 11
IL COMITATO DEI GENITORI DELLA SCUOLA CRISPI
Ha indetto una manifestazione al Ministero della Pubblica Istruzione di tutta la scuola genitori, insegnanti, Collaboratori scolastici (ex bidelli), bambini.
La manifestazione è stata indetta perché la scuola pubblica si sta degradando ogni anno di più a causa del taglio delle risorse personale e denaro.

Alla Crispi siamo arrivati proprio al fondo e tagliando ripetutamente i bidelli sono rimasti 7 rispetto alla necessità: dovrebbero essere almeno 12.
Ma sette bidelli proprio non bastano:
• L’edificio scolastico è di 5 piani con corridoi fatti ad U che rendono difficile anche la sola vigilanza.
• Uno dei bidelli deve essere impegnato in permanenza alla funzione di Portiere.
• Nella scuola dell’infanzia è impensabile che le maestre rimangano sole con classi di 24 bambini senza l’assistenza di altri adulti.
• L’orario dei bidelli può essere al massimo di 7 ore e 12 minuti al giorno, ma la maggior parte delle classi sta a scuola 8 ore.

Sono messe a rischio la sicurezza e la salute dei nostri figli ed alunni, sono già molti gli episodi di rischiosi che si sono verificati per fortuna finora senza conseguenze.

I bambini della scuola dell’infanzia sono quelli che dovranno subire il rischio e il degrado più degli altri (staranno a scuola Crispi almeno altri 5 anni).

Per questo chiediamo soprattutto ai genitori dei più piccoli una partecipazione responsabile e decisiva alla riuscita della manifestazione.
I genitori del Comitato hanno già inviato molte lettere alla Ministra perché dia i posti che mancano per far funzionare in sicurezza la scuola.
Oltre alle lettere ufficiali mandate dal Comitato ci sono stati altri 110 genitori circa che con singole lettere o lettere collettive hanno chiesto le stesse cose alla ministra.
Tutte queste lettere si concludevano chiedendo una risposta o un appuntamento. La ministra, o i suoi uffici, che non hanno un grande senso della cosa pubblica, non si sono degnati né di dare una risposta né di fissare un appuntamento.
Perciò l’appuntamento lo abbiamo fissato noi venerdì alle 17. Quindi noi venerdì andremo e sarà assai importante essere numerosi e molto, molto rumorosi (fischietti, pentole, palette di legno, coperchi) per sostenere la delegazione che andrà a parlamentare e comunque farci sentire e vedere.
Se il clima ce lo permetterà vorremmo andare al Ministero tutti insieme in corteo sui marciapiedi senza ostacolare il traffico. Il percorso dovrebbe essere via Barrili, via Carini, via Calandrelli, viale Glorioso e siamo arrivati. Un adulto fa tutto il percorso in 20 minuti circa.
L’appuntamento è per tutti all’ingresso della scuola dalle 16,10 alle 16,25, poi si parte sempre …se il tempo è buono.
Chi non può venire a piedi ci vediamo al Ministero alle 17.

VENERDI’ 11
MANIFESTAZIONE AL MIUR
APPUNTAMENTO ALL’USCITA DI SCUOLA LLE ORE 16,10

Saranno presenti anche rappresentanti di altre scuole del XVI municipio e del Coordinamento Scuole Elementari di Roma (WWW.coselementariroma.it )

Legge di stabilità 2012: altri tagli per l’istruzione

di Manuela GhizzoniMar, 08/11/2011 – 13:20
da scuolaoggi.org

Dei provvedimenti contenuti nella Legge di stabilità (come si chiama ora la vecchia finanziaria) e nel Bilancio dello Stato per il prossimo anno, in discussione al Senato, si parla troppo poco. Il dibattito pubblico è focalizzato sui significati economici e politici dell’altalena cui sono sottoposti i mercati finanziari e, conseguentemente, sul maxiemendamento presentato da Berlusconi al G20 di Cannes, ma che nessuno ha potuto leggere in forma ufficiale. In questo modo è stato accantonato l’interesse per la Legge di stabilità e per il Bilancio: ed è un vero peccato, dato che in essi sono previsti altri tagli per la scuola.

Basta una cifra per spiegare di cosa stiamo parlando: per il prossimo anno il Bilancio prevede per il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca una competenza complessiva di 51.520.441.175 euro, vale a dire una riduzione di 1.835.578.102 euro rispetto al bilancio assestato di quest’anno.

A danno di quali programmi si abbattano questi tagli? Mi limito a segnalare i più significativi: per la missione “Istruzione scolastica”, ad esempio, sono previsti 254 milioni in meno per l’istruzione primaria, 312 per l’istruzione media e ben 526 per l’istruzione superiore! Per la missione “Istruzione universitaria” i tagli più significativi si registrano per il diritto allo studio, con una riduzione di 85 milioni e per il programma “Sistema universitario e formazione post-universitaria”, con 256 milioni in meno. Le cose non vanno meglio per la missione “Ricerca e innovazione”, che subisce una decurtazione di 294 milioni, ripartita in particolare tra la Ricerca scientifica e tecnologica applicata (-132 milioni) e quella di base (-162 milioni).

A mitigare un po’ i danni del Bilancio interviene la Legge di stabilità con disposizioni dai risvolti economici di segno negativo e positivo, che complessivamente compensano il taglio di 767 milioni aggiuntivi: in questo modo, rispetto all’assestato del 2011, viene a mancare poco più di un miliardo di euro (esattamente 1.067.778.102 euro).

L’ennesimo miliardo in meno per istruzione, università e ricerca.

Vediamo allora cosa contiene la legge di stabilità. Innanzitutto due vistose innovazioni negative:

a) contrariamente a quanto precedentemente stabilito, la spesa per l’istruzione non è più sottratta ai tagli delle spese dei ministeri disposti dalla manovra di luglio (lo prevede il comma 73 dell’art.4): in questo modo se ne vanno 145 milioni di euro;

b) anche le spese non “rimodulabili” sono oggetto di accantonamenti e di successivi tagli, pari a 78 milioni e 700.000 euro.

Entrambe queste innovazioni, e in particolare la prima, potranno avere conseguenze assai gravi sul bilancio del MIUR a partire dal 2013, quando si passerà ad attuare il programma di riduzione delle spese in rapporto al PIL disposto dalla manovra di agosto: «… le spese di funzionamento relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero sono ridotte, rispettivamente, fino all’1 per cento per ciascun anno rispetto alle spese risultanti dal bilancio consuntivo relativo all’anno 2010 e le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun Ministero, previste dalla legge di bilancio, relative agli interventi, sono ridotte fino all’1,5 per cento».

In particolare, la legge di stabilità fra le riduzioni degli stanziamenti riconducibili alle spese non rimodulabili prevede (art. 4):

a) la riduzione da 500 a 300 del numero dei dirigenti scolastici e dei professori, di cui l’Amministrazione si avvale presso i propri uffici per compiti connessi con l’autonomia scolastica (comma 74). Ci si chiede chi assolverà a questi compiti, senza dimenticare che quei docenti rientreranno – dopo aver maturato specifiche esperienze e competenze – sulle loro cattedre di titolarità, fino a quel momento coperte con supplenze annuali. Stiamo parlando di qualche centinaio di posti, ce ne rendiamo conto, che tuttavia rappresentano per i docenti precari coinvolti la differenza tra lavoro e disoccupazione. La norma porta ad un risparmio tra il 2012 e il 2013 di circa 7 milioni;

b) l’incremento dei parametri appena fissati nella manovra di luglio (comma 5 art. 19) per la concessione della titolarità della dirigenza scolastica e per l’assegnazione del direttore dei servizi generali di segreteria: potranno essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato e DSGA in via esclusiva solo alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni superiore a 600, ridotto a 400 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche (commi 75 e 76). Si tratta dell’ennesima misura per ridurre il “fabbisogno” di dirigenti scolastici (- 1331) e di direttori di segreteria (-1569), che rischia di pregiudicare l’ordinato funzionamento delle scuole nonché il raggiungimento delle loro finalità istituzionali. Complessivamente si verificherà una riduzione di spesa di 135 milioni di euro nell’a.s. 2012/13, a cui si devono aggiungere i previsti 145 milioni di euro ricavati dal taglio dei 1.812 posti di dirigenti scolastici soppressi a decorrere dall’anno scolastico 2011/12 in base all’originaria versione del comma 5 dell’art 19 della manovra di luglio;

c) nelle scuole superiori, l’accantonamento dei posti di assistente tecnico per compensare, nell’anno scolastico 2011/2012, i 3.334 posti degli insegnanti tecnico pratici che risultano in esubero a livello nazionale (comma 87). Si tratta di una delle conseguenze della riforma “epocale” della scuola superiore, propagandata come una nuova scuola laboratoriale, mentre la verità è che le ore di laboratorio sono state cancellate e gli insegnanti tecnico-pratici sono diventati esuberi e pertanto possono “trasformarsi” in assistenti tecnici! Questo intervento determinerà una minore spesa per 64,50 milioni nell’anno scolastico 2012/2013;

d) la modifica del comma 14 dell’art. 8 del decreto legge 78 del 2010, che dispone la possibilità di destinare risorse da individuare in esito ad una specifica sessione negoziale concernente interventi in materia contrattuale nel settore del personale della scuola, finalizzate al pagamento degli scatti retributivi maturati nel 2012 (comma 89). Recentemente, in occasione dell’attuazione del cosiddetto piano straordinario di immissioni in ruolo (previsto dall’art. 9 del decreto legge 70 del 2011), abbiamo assistito ad una procedura simile, cioè all’attivazione di una sessione negoziale istituita, è bene ricordarlo, mentre la contrattazione è bloccata: l’esito finale è stato lesivo dei diritti dei futuri docenti, che hanno visto “barattato” il posto di lavoro in cambio di una retribuzione inferiore! Si tratta, quindi, di un percorso pericoloso, che peraltro non pare in grado di garantire un risultato apprezzabile nemmeno sul versante finanziario, tenendo conto che la parziale mancanza delle risorse destinate al pagamento degli scatti è stata certificata dalla Corte dei Conti e che la nuova norma non prevede “nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato” e dispone il “rispetto degli obiettivi programmati dei saldi di finanza pubblica”.

Purtroppo, la legge di stabilità si occupa anche del settore dell’Alta Formazione artistica e musicale (commi 79 – 86 dell’art. 4), quello che tanto prestigio attribuisce alla cultura italiana ma che la Gelmini regolarmente trascura: per la verità, dato il contenuto delle norme, sarebbe stato meglio che l’AFAM fosse rimasta nel dimenticatoio ancora per un po’. La legge di stabilità, infatti, prevede per il personale del settore il blocco degli scatti per un triennio (2012/2014) e la mancata valutazione di tale anzianità per il prosieguo della carriera (in analogia con quanto già disposto per il personale della scuola e dell’università nel decreto-legge n.78 del 2010) per un risparmio di 11 milioni di euro nel triennio, mentre altri 9,6 milioni di euro per il 2012 saranno recuperati con una forte stretta sulla concessione dei permessi per attività di studio, di ricerca e di produzione artistica e limitazioni all’esonero dalle attività didattiche dei docenti incaricati della Direzione. Che dire? Dopo tanto disinteresse del ministro, ci si aspettava un gesto di attenzione e di valorizzazione per il settore AFAM e non un pugno di norme micragnose e avvilenti per la dignità dei professionisti nell’educazione e nella formazione alle discipline artistiche e musicali.

Dopo i dolori dell’articolo 4, la legge di stabilità concede alcune misure apprezzabili, rappresentate dal rifinanziamento (art. 5), ma solo per l’anno 2012:

1. dell’edilizia scolastica (comma 3), con uno stanziamento di 100 milioni del quale però non si indica la destinazione agli enti territoriali proprietari degli istituti scolastici: probabilmente siamo di fronte all’ennesimo annuncio di risorse destinate a non essere spese perché non attribuite ai soggetti cui compete la programmazione degli interventi di edilizia scolastica. Un film già visto, peraltro brutto;

2. di 150 milioni del fondo da trasferire alle Regioni per la concessione di prestiti d’onore e borse di studio agli studenti universitari (comma 25). Vale la pena ricordare che non si tratta di risorse aggiuntive, se non in piccolissima parte: questo fondo, infatti, ha una consistenza di 112,3 milioni per l’anno corrente, che nel Bilancio di previsione per il 2012 precipita a soli 24,9 milioni! Una cifra infima, offensiva per le necessità del diritto allo studio. In questa cruda contabilità, i 150 milioni della legge di stabilità sono certamente una boccata d’ossigeno, ma rappresentano un incremento del fondo di 37,7 milioni rispetto all’anno corrente. Tuttavia, la concessione di risorse da parte dello Stato con una tempistica che potremmo definire “sul filo del rasoio” (cioè con l’approvazione della legge di stabilità per l’anno successivo invece che attraverso la necessaria triennalità) impedisce di fatto alle regioni di predisporre una adeguata programmazione nelle proprie politiche di diritto allo studio: è del tutto evidente che tale stato di incertezza va a detrimento, in particolate, delle scelte degli studenti che sono in condizioni sociali di maggiore debolezza;

3. di 400 milioni del fondo di finanziamento ordinario per l’Università (comma 13): anche in questo caso, però, assistiamo al giochetto illusionistico utilizzato per il fondo per l’erogazione delle borse di studio. Il Bilancio di previsione 2012, infatti, prevede una riduzione di 251,5 milioni del FFO rispetto al 2011, pertanto l’incremento reale per il prossimo anno è di 143,6 milioni. Peraltro, se si considera che nel 2011 il Fondo era stato taglieggiato di 276 milioni e di ben 652 milioni nel 2010, si comprende che il piccolo incremento di stanziamenti per il prossimo anno rappresenta un “cerottino” inadeguato a tamponare ferite profonde e copiosamente sanguinanti (in termini percentuali lo stanziamento del FFO del 2011 è stato -3,3% rispetto al 2010 e -7,4% rispetto al 2009);

4. delle scuole non statali (comma 14), con lo stanziamento di 242 milioni che integrano i 278,9 del disegno di previsione del Bilancio;

5. degli interventi di sostegno alle università non statali legalmente riconosciute (comma 15), autorizzando la spesa di 20 milioni di euro per l’anno 2012.

Con preoccupazione va invece segnalato che non risulta rifinanziata, rispetto al livello minimo che aveva raggiunto nel 2011, la voce riguardante le borse di studio per la scuola dell’obbligo, attivate con la legge 62/2000. Si tratta di risorse messe a disposizione di tutto il sistema scolastico da erogarsi con riferimento al reddito dei beneficiari. Nel 2008 lo stanziamento era stato di 119,7 milioni, nel 2011 è stato di 31,1, cifra su cui si assesta il fondo anche per il prossimo anno.

Ma c’è un altro elemento di forte preoccupazione alimentata da una novità introdotta dalla legge di stabilità: la cancellazione del fondo per la gratuità parziale dei libri di testo scolastici (fino al 2010 sono stati garantiti 103 milioni di euro, che il ministero degli Interni trasferiva alle regioni). La politica del governo per smantellare il diritto allo studio non conosce sosta, mentre la denuncia di questi furti di diritti è isolata e inascoltata.

Come dicevamo in apertura, il totale della spesa di competenza del MIUR per il prossimo anno subisce una riduzione di 1.067.778.102 di euro. Prende corpo, in sostanza, quel piano di tagli previsto nel Documento di Economia e Finanza e che la Gelmini, nel salotto di Floris e incalzata da Letta, negava senza convinzione (dando a tutti la netta impressione di ignorarne l’esistenza). La marcia verso il 3,7% del PIL assegnato alla spesa per istruzione primaria e universitaria da raggiungere entro il 2015 (mentre nel 2010 era il 4,2%) prosegue, purtroppo, senza inciampi.

martedì 21 giugno 2011

Sentenza Tar su classi sovraffollate, entro 120 giorni emanazione piano sull'edilizia

Per il Ministero, il ricorso al Tar Lazio che condanna l'istituzione per le cosiddette ''classi pollaio'', ossia quelle aule scolastiche nelle quali il numero di alunni supera i limiti fissati dalla legge è destituito di fondamento. Ma il Tar chiede un piano generale di edilizia scolastica entro 120 giorni. La UIL chiede di affrontare il problema nei prossimi incontri sugli organici.

Secondo il MIUR il problema è limitato allo 0,4% delle classi, cioè quelle con alunni di numero pari o superiore a 30. Un sovraffollamento che riguarderebbe prevalentemente la scuola secondaria di II grado e si legato soprattutto alle scelte e alle preferenze delle famiglie per alcuni istituti e sezioni.

Dello stesso avviso non è Francesco Scrima il quale non condivide il termine "marginale" attribuito al problema, infatti "se invece che in percentuale ragioniamo in cifra assoluta, le classi con più di 30 alunni sono oltre 1500. Potranno anche essere poche rispetto alle 370.000 funzionanti, ma non ci sembrano un fenomeno da liquidare come "inesistente"". Inoltre, "il concetto di affollamento, tuttavia, è diverso, e chiama in causa non solo il numero di alunni, ma l'adeguatezza degli spazi in cui sono ospitati. In questo senso anche classi meno numerose possono risultare "affollate", se le aule in cui gli alunni sono costretti a lavorare sono anguste e fatiscenti.".

Comunque sia, se il MIUR entro 120 giorni non provvederà all'emanazione di un nuovo piano generale di edilizia scolastica, rischierà il commissariamento con la nomina di un commissario ad acta. Inoltre, le famiglie potranno richiedere un risarcimento fino a 2.500 euro per danno esistenziale.

Da canto suo la UIL, per voce del segretario Di Menna, denuncia di aver cominicato più volte "al Miur situazioni limite, presentato il risultato di monitoraggi effettuati nelle diverse province italiane".

Per quanto riguarda il piano sull'edilizia disposto dal Tar, la UIL chiede che se ne discuta "in sede di definizione dell’organico" e che sia "definito nel rigoroso rispetto del numero di alunni per classe." "E ancora, attraverso l’anagrafe dell’edilizia scolastica la garanzia di spazi adeguati."
da orizzontescuola.it

sabato 4 giugno 2011

Prove Invalsi: non c'è obbligo per i docenti

da www.latecnicadellascuola.it

di Reginaldo Palermo 02/06/2011
E' la conclusione a cui si è arrivati in Sardegna dove il direttore regionale decide sul "non luogo a procedere" nei confronti di alcuni insegnanti che si erano rifiutati di somministrare le prove nelle proprie classi.
Il comportamento mantenuto dai docenti che si sono rifiutati di somministrare le prove Invalsi ai propri alunni “non attiene a profili disciplinari in quanto inserito in un particolare contesto caratterizzato da contrapposizioni sindacali e argomentazioni
portate avanti anche a livello giurisdizionale”: lo scrive il direttore regionale della Sardegna a conclusione di una lunga e complessa vicenda che si è trascinata per diversi mesi in un circolo didattico di Nuoro.
La questione risale ad alcuni mesi addietro e su di essa si era già espresso anche il Tar al quale si erano rivolti i Cobas che avevano impugnato la mancata convocazione del collegio dei docenti nel circolo didattico “Fureddu” di Nuoro.
A quel punto la dirigente scolastica della scuola aveva convocato il collegio che però aveva deliberato di non aderire alla somministrazione delle prove Invalsi. Dopo aver chiesto lumi al direttore regionale la dirigente riconvocava il collegio. Nella successiva seduta il collegio confermava la precedente decisione che veniva subito disattesa dalla dirigente scolastica “in virtù - scriveva la dirigente stessa - della delega conferita dal Direttore Generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per la Sardegna”.
Contemporaneamente la dirigente mediante un apposito ordine di servizio disponeva la somministrazione delle prove e nei confronti di alcuni docenti che si rifiutavano di obbedire apriva un procedimento disciplinare.
Va anche detto che secondo la dirigente il comportamento dei docenti “disobbedienti” sarebbe stato particolarmente grave tanto che anziché ricorrere ad una sanzione di sua competenza (dall’avvertimento scritto fino alla sospensione dal servizio per non più di 10 giorni, passando anche attraverso la censura) trasmetteva gli atti all’Ufficio scolastico regionale chiedendo una sanzione superiore ai 10 giorni di sospensione.
Ed è a questo punto che la vicenda si conclude in modo del tutto imprevisto e per certi aspetti contraddittorio: nonostante i “suggerimenti” dati alle scuole e ai dirigenti scolastici fino a pochi giorni fa, il direttore regionale scrive alla dirigente scolastica e chiarisce che il comportamento dei docenti disobbedienti non è perseguibile sul piano disciplinare.
I Cobas della Sardegna commentano entusiasticamente: “la vicenda dimostra ciò che i Cobas hanno sempre sostenuto: i quiz Invalsi non sono obbligatori”.

venerdì 27 maggio 2011

A proposito di INVALSI

I TAGLIATORI DI TESTE SONO ARRIVATI A SCUOLA

Premessa.

Poche volte negli ultimi 30 anni è stato possibile assistere ad una così formidabile esplosione di conoscenza e intelligenza collettiva come sta accadendo in questi giorninella scuola italiana. Gli insegnanti nel giro di alcuni mesi si sono messi a riflettere, astudiare spinti dal mare di fango che rischia di soffocare loro e la scuola pubblica nelnostro paese. Il canale attraverso il quale passa il fango è costituito dalle Prove Invalsi, ilsistema di quiz che non solo ha la pretesa di misurare gli apprendimenti degli studenti ma,andando su per li rami, dovrebbe arrivare a misurare, valutare, gerarchizzale le scuole e idocenti d’Italia.Il via lo hanno dato i professori delle scuole superiori che quest’anno, 2011, dovrebberoper la prima volata “somministrare” ai loro studenti e poi “correggere” i test a cui hannosottoposto i loro studenti. Ma la vastità che ha assunto sin dai primi mesi la contestazioneha in parte già contagiato la scuola elementare e gli studenti delle superiori e glistessi genitori. Nella scuola elementare, in cui ormai da anni le prove dell’Invalsi sistanno svolgendo, la contestazione degli insegnanti non ha mai raggiunto la soglia checonsentisse al fenomeno di assumere la caratteristiche di massa che la contestazione staraggiungendo quest’anno.La stessa iniziativa presa con determinazione e risolutezza dai Cobas della Scuolaè stata largamente superata e non si contano le scuole e le migliaia di insegnanti che sisono attivati a partire dall’input dato dai COBAS, ma il cui rapporto con i Cobas si riducecaso mai ad un passaggio nel loro sito Internet per utilizzare il modello di una delle lorodelibere o per informarsi di come sta andando l’operazione.I siti tradizionali dei movimenti della scuola sono colmi di materiale ad hoc e moltipartecipano alla elaborazione e diffusione del pensiero e dell’azione NO invalsi.In questo momento, tre giorni prima che abbiano inizio le prove di quest’anno (10/15maggio) lo stato delle cose è ancora molto ingarbugliato. Nelle numerose assemblee chesi svolgono sull’argomento i “materiali”, le riflessioni si moltiplicano ma sembra di trovarsinella situazione descritta da Don Milani nella quale ancora si crede che un carro armatosi realizza perché un po’ di ferraglia, qualche ruota, qualche bullone, qualche cingolo….siincontrano casualmente,si legano insieme e...guarda! Il carro armato è fatto.Credo sia utile per chi sta ricercando e lavorando su questo tema definire una IpotesiOperativa, magari provvisoria, che orienti e in qualche misura unifichi i contributi e illavoro. Io propongo di assumere, o comunque di discutere, la seguente ipotesi.“Un esercito internazionale di “esperti” formato da personale proveniente dal mondo
della finanza, dalla economia accademica e bancaria, statistici e ricercatori mercenari,consapevoli, convinti, o ricattati ha maturato ormai una esperienza, una filosofia mondialedi grande successo e di fallimenti debitamente occultati.I generali di questo esercito non debbono in nessun caso far parte della scuola esercitatae pensante, devono essere completamente alieni ai saperi e alle conoscenze dellescienze pedagogiche e quelle ad essa attinenti, massimamente disinteressate ai modellied agli stili di apprendimento di bambini e dei giovani (nel loro vocabolario vengono
Alla maniera di George Clooney 325 giorni l’anno nel film “Tra le nuvole”
chiamati “capitale umano”, gli apprendimenti sono per loro “valore aggiunto”: difficileassistere ad una pratica di reificazione così radicale e assoluta) e soprattutto in gradodi rivendicare la loro estraneità a tutte le conoscenze che l’umanità ha elaborato eaccumulato sia in campo umanistico che in quello delle scienze sperimentali, checostituiscono il bagaglio e il retroterra culturale dell’azione educativa e della scuolapubblica in particolare a partire dall’illuminismo.Fornito di risorse economiche eccezionali e di una affinità e congenialità totale al piùscatenato liberismo e mercatismo esso viene chiamato e assunto, dai singoli statiNazionali e sempre più spesso messo alla testa delle istituzioni sovrannazionali (in testaa tutte l’Ocse), a fornire argomenti ed ideologie che servano da alibi e motivazioni perchégli stati e le stesse istituzioni sovrannazionali possano procedere allo smantellamento deisistemi pubblici di pubblica istruzione e a tutti i servizi deputati a produrre, elaborare ediffondere cultura.”
Spero che su questa ipotesi si apra al più presto un confronto e intanto aggiungo leriflessioni di questi giorni su tre temi poco scavati dal movimento e che meriterebberoricerca di dati, informazioni e riflessioni autonome da quelle dei “padroni del vapore”.
Alcune questioni di fondo indispensabili a valutare l’operazione Invalsi
1)LA TERZIETA’, L’INDIPENDENZA E L’AUTONOMIATerzietà, indipendenza ed autonomia sono aspetti connessi tra loro. Nel caso dell’Invalsinon vi è il minimo grado di terzietà né di autonomia. Dal punto di vista statutario eistitutivo per l’Invalsi (art.3 D.L.vo 258/1999) è sancita la totale dipendenza dal Miure dal relativo Ministro. Dalla nomina delle cariche, ai finanziamenti, dai regolamentiagli importi degli stipendi dei dirigenti, dall’oggetto ai temi delle ricerche tutto è decisodall’unico “committente”, il MIUR.Il compito più importante e politicamente significativo assegnato dal decreto istitutivoall’Invalsi è quello di “valutare l’efficienza e l’efficacia del sistema di istruzione nelsuo complesso” (art. 1, comma 2). Chi è il maggior protagonista e responsabile delfunzionamento della scuola , se non il Ministero? Ci troviamo nel più smaccato caso “delcontrollore, controllato ”. L’Invalsi e i suoi dirigenti invocano il loro ruolo di ricercatori liberie responsabili ma possono lavorare solo ed esclusivamente sul mandato del committente,il solito ed unico MIUR.La stessa OCSE è tassativa, ed ossessiva, sul tema dell’autonomia degli enti di ricercao agenzie educative che debbono investigare sugli apprendimenti degli studenti e sugliesiti dei sistemi scolastici. Nella raccomandazione n. 3 si declama “ Raccomandiamo
l’istituzione di un sistema nazionale per la valutazione della formazione tecnica eprofessionale, definire standard nazionali appropriati e controllare i miglioramenti eistituzionali sulla base di questi standard. In tale sistema devono essere rappresentate leparti sociali a livello locale, regionale e nazionale.”“Sosteniamo l'opportunità di creare un sistema nazionale di valutazione indipendentecon il compito di esaminare l'efficacia delle riforme una volta che queste siano attuate”(raccom. 5.2)“Noi raccomandiamo che sia istituito un sistema di valutazione indipendente, che incentrila sua attività sulla definizione di parametri di valutazione, per mettere le scuole nella
condizione di autovalutarsi con riferimento a tali parametri” (raccomandazione 5.3) (Esame
delle politiche nazionali dell’istruzione:Italia OCSE - Armando Editore, 1998)Ma la cosa incredibile è che nello studio che costituisce il fondamento e l’impiantodell’attuale Invalsi e della sua attività (Checchi, Ichino e Vittadini) l’autonomia si riducealla prescrizione, peraltro disattesa, per cui “Le prove devono essere somministrate dapersonale esterno alla scuola e valutate centralmente in modo standardizzato”che acorreggere le prove non debbano essere gli insegnanti della stessa scuola, ma “Ricorrere
a professori di scuole di altra regione, selezionati casualmente e ai quali non vengacomunicata l’origine delle prove da correggere” o “Studenti universitari iscritti ai corsi didottorato”
Ossia l’autonomia si riduce ad un esercito di “somministratori e correttori” soldatiniinconsapevoli agli ordini del MIUR direttamente e tramite i dirigenti dell’Invalsi.Tutta la storia assume l’aspetto della grottesca cialtroneria ministeriale se, comedocumenta Sergio Rizzo (Il Corriere della Sera 5 giugno, 2008 ), il Presidente dell’Invalsidott. Cipollone, oggi dimissionario, è stato nominato dal Ministro Gelmini nel 2008, in basead una terna di candidati valutati da una commissione ad hoc ed era stato valutato con ilgiudizio più basso dei tre. Alla dipendenza formale, istituzionale, economica si aggiunge ladipendenza clientelare dalla ministra meritocratica.Una prima verifica di questa totale mancanza di terzietà ed autonomia lo possonoconstatare tutti i cittadini italiani di buon senso che dovendo indagare “ efficacia e efficacesistema scolastico” sugli apprendimenti si sarebbero aspettati che le ricerche avrebberomesso in relazione alcune condizioni specifiche in cui opera la scuola italiana con l’esitodegli apprendimenti, in una connessione da tutti intuibile ma che sarebbe necessariomisurare. Per esempio:1) L’effetto sugli apprendimenti in classi i cui insegnanti sono precari rispetto ai fortunatistudenti che invece non subiscono il fenomeno. Gli insegnanti precari sono il 15% deidocenti e insegnano nel 50% delle classi circa. Ci sono casi limite in cui il 90% dei docentidella scuola, per più anni consecutivi, sono precari.2) L’effetto sull’apprendimento di studenti che sono in classi di 20 alunni confrontato conquelli che stanno in classi di 30/35 studenti.3) L’effetto sull’apprendimento per gli studenti pendolari (sono circa il 70% degli studentidelle superiori) rispetto a quelli che devono prendere un autobus per 3/4 fermate in città.4)L’effetto sugli apprendimenti degli studenti che stanno in scuole e classi in cui nonvengono chiamati i supplenti e che perdono dal 10 al 20 % del tempo scuola in un anno,confrontati con quelli che frequentano scuole in cui i supplenti vengono chiamati nel caso ildocente titolare sia assente e non perdono nemmeno un’ora del tempo scuola.In 12 anni di esistenza l’Invalsi non si è mai fatto nemmeno venire l’idea che questipotrebbero essere problemi degni di una qualsiasi ricerca.
2) Nel merito delle proveLa valutazione degli apprendimenti in forma “oggettiva e standardizzata” nella filosofiadell’invalsi richiede una parcellizzazione estrema delle competenze, dei saperi e delleconoscenze da indagare. L’esito di questa polverizzazione dei saperi e semplificazionerende le prove assolutamente inadeguate per la rilevazioni e la misurazione dellacomprensione e degli apprendimenti. In alternativa, quando le risposte (per esempio nelle
prove di comprensione della lettura nel 2010 nelle classi seconde delle elementari) sonolegate alla comprensione del testo, non sono mai sbagliate e spesso 4 risposte su 4 sonopertinenti, legittime e sostanzialmente giuste. I bambini invece dovevano sceglierne unasola giusta e le atre erano ritenute sbagliate dal povero compilatore.Sempre nel caso in esame (Prove di comprensione della lettura nelle classi secondeelementari nel 2010) l’insipienza dell’Invalsi raggiunge il colmo: il testo oggetto delledomande è una favola con tutte le caratteristiche e la complessità del registro favolistico,e la ricchezza di metafore del testo/favola (le formiche che sudano, il moscerino e leformiche che dialogano). Un bambino competente nella lettura e nella comprensioneavrebbe scelto di usare lo stesso registro della favola e quindi inventare altre risposte oltrele 4 proposte, anch’esse tutte sostanzialmente giuste. Ma insipienza e incompetenzadell’Invalsi a parte, è la filosofia del testing che fa produrre domande e risposte irrilevantie inadeguate sia a misurare le conoscenze e ancor meno le competenze. Gardner, unodei maggiori pedagogisti americani, sostiene che decenni di somministrazioni di milioni ditest a milioni di studenti non sono serviti né a conoscere quello che gli studenti sanno econoscono né soprattutto come arrendono e quanto capiscono. (Howard Gardner, HarvardUniversity, “Educare al Comprendere” Feltrinelli 2001).Ma l’influenza dei test come strumento di valutazione e misurazione è destinata adiventare letale per interi sistemi scolastici quando, come avverte e documenta unaabbondante letteratura, si sviluppa il Teaching to the test, ossia gli insegnanti impegnanoin misura sempre maggiore il loro tempo nell’addestramento al superamento delle prove.Questo sta succedendo già nella scuola elementare italiana nella quale dilaganoi testi destinati all’addestramento ai test. L’azione dei test ha anche una ulterioreinfluenza sui sistemi scolastici impoverendo i programmi d’insegnamento, le disciplinee le loro complessità la cui lettura e interpretazione dovrebbe essere uno dei compitifondamentali della scuola. Una delle derive a cui si rischia di arrivare, e in Italia ci siamogià arrivati con gli esami del terzo anno della scuola secondaria di primo grado, quandosi comincia a sostituire, magari gradualmente, la valutazione educativa e pedagogica conquella “oggettiva e standardizzata”.
3) Per una valutazione del sistema scolastico trasparente e democratica.Il primo rischio da eliminare è quello di sostituire l’attività di valutazione degliapprendimenti fatta dai docenti e strettamente intrecciata all’insegnamento e alle attivitàscolastiche al punto che gli studenti e gli alunni scrutano mentre parlano, mentre sonointerrogati o mentre il docente legge i loro lavori, il viso dei loro insegnanti per intuirneil giudizio, con l’attività di testing, o in qualsiasi altra forma “oggettiva e standardizzata”.L’attività di valutazione ed il giudizio sono fondanti e indispensabili per dare senso edirezione all’intera, complessa attività di insegnamento.E’ indispensabile che l’attività di valutazione degli apprendimenti sia rivendicata al ruoloesclusivo dei docenti, sia nei momenti individuali che quelli in quelli collettivi o collegiali,caratteristica originale del nostro sistema scolastico, il Consiglio di classe, il teamdocente. Persino il Collegio dei Docenti per tutti i compiti assegnati dall’articolo 7 del T.U.presuppone questa valutazione degli apprendimenti fino al punto che: il C.d.D. “esamina,
allo scopo di individuare per ogni possibile recupero, i casi scarso profitto e/o di irregolarecomportamento degli alunni, su iniziativa dei docenti della rispettiva classe…”.
Si è già detto quanto l’Invalsi sia una mera appendice del MIUR, ancora menoautonoma di una qualsiasi Direzione Generale dello stesso Ministero, ma vale anche lapena di sottolineare il suo carattere tecnocratico ed autoreferente. Gli attuali dirigentisi autoproclamano, in larghissima parte, “economisti” e statistici e rivendicano non solola loro estraneità alla scuola e al mondo dell’Istruzione che non sia quello accademico,ma proclamano anche la inutilità di ogni conoscenza relativa ai meccanismi attraverso iquali i giovani apprendono, cosa e in quali modi apprendono, quali sono i contesti sociali,emotivi, istituzionali che facilitano l’apprendimento…un rifiuto protervo e spocchioso nonsolo della pedagogia, della filosofia, della didattica e dell’umanesimo di cui sono il frutto,ma delle stesse scienze sociali e sperimentali che ormai le contornano. Nelle ponderosebibliografie dei libri scritti da loro mai che venga citato un Platone, Socrate, Dewey,Vigotsky, Lurja, Piaget, Montessori, Morin, Bruner…..la loro ignoranza ed estraneità vienesbandierata.Il dott. Ricci (Dirigente dell’Invalsi) è riuscito a mandare in bestia i genitori dellascuola Parini di Roma, che lo avevano invitato a partecipare ad una loro assembleaper conoscere da lui l’Istituto, quando dopo l’appassionato racconto di una maestradell’esperienza dell’anno precedente (2010) della frustrazione che avevano subito ibambini di seconda elementare e che gli chiedeva ragione di quanto una bambina avevapagato in termini di autostima, Lui rispondeva infastidito che era uno “statistico” e nonsapeva né di scuola né di autostima e che coloro che avevano approntato i quiz eranorinomati professori esterni all’Invalsi. Non c’è niente da fare: è proprio come chiedere aduno “professionista” di misurare una distanza e quello si presenta con un recipiente da unlitro.La comprovata incapacità dell’Invalsi non gli impedirà di somministrare milioni di testa milioni di studenti su commissione del MIUR, e di produrre migliaia di tabelle, grafici,istogrammi, decine di “report” e libri utilissimi per parlar male “scientificamente” dellascuola, degli studenti, degli insegnanti e fornire ai governi di oggi e di domani le “ragioni”per realizzare gli ulteriori tagli, argomentare la già decisa dismissione della scuolapubblica.Resta da riflettere sulla “valutazione di sistema” del sistema scolastico che la leggeistitutiva affida all’Invasi con l’efficace denominazione Istituto Nazionale per la Valutazionedel sistema dell’Istruzione ribadita dal comma 3 dell’articolo 1: “l’Istituto valuta l’efficienzae l’efficacia del sistema di istruzione nel suo complesso”. Credo che sia ampiamentecondiviso che un tale compito non può essere svolto che all’interno di un processodemocratico, popolare chiaro e trasparente, proprio l’esatto contrario di come è andato aconfigurarsi l’Invalsi tecnocratico, autoreferente, autarchico, tutto interno e subalterno almaggior responsabile del “sistema “ che dovrebbe valutare.“Il Consiglio d’Istituto, sulle materie di sua competenza, invia annualmente una relazioneal Provveditore agli studi e al Consiglio Provinciale Scolastico” Comma 9 articolo 10 delT.U.)Queste stesso compito veniva ripetuto per tutti gli organi collegiali territoriali (Consiglio didistretto, Consiglio Provinciale fino al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione), primache il Ministro Berliguer nel 2000 sopprimesse tutti Organi Collegiali Territoriali.Questo concetto, a mio parere, è la chiave di volta per un processo di valutazionedel sistema scolastico, un percorso partecipato democratico, pubblico, fondativo per
una “valutazione di sistema”.Un percorso articolato per ordine di scuola, territorialmente, alla cui guida sianogli Organi Collegiali composti da tutte le componenti della scuola studenti, genitori,insegnanti, personale non insegnante e rivolto e partecipato ai cittadini e ai decisori politici.Il modello potrebbe essere in parte quello che già avviene nel sistema giudiziario con leaperture dell’anno giudiziario, meno paludato, con più partecipazione. D’altronde senza partecipazione, senza interesse, senza responsabilità democratica, senza amore per lacosa pubblica non è solo la scuola pubblica a rischiare la morte civile. Di questo percorso potrebbero far parte anche le ricerche svolte da Università, Enti eagenzie educative autonome e indipendenti ma i cui committenti siano sempre gli Organi Collegiali, ma anche il Parlamento. Di sicuro non potrebbero essere i governi.


Roma, 17 maggio 2011
Piero CastelloMaestro Cobas

sabato 7 maggio 2011

Petizione su invalsi e alunni diversamente abili

La petizione si può firmare a questo link:
http://www.petizionionline.it/petizione/linvalsi-non-vuole-alunni-disabili-in-classe/4055

Dopo aver preso in ostaggio la Scuola pubblica italiana (ciò che ne rimane) per quattro giorni consecutivi (quest’anno dal 10 al 13 Maggio); dopo aver persuaso i suoi docenti e le sue docenti (una parte significativa di loro) a interrompere il proprio lavoro per giocare (ancora) al FACCIAMOCIDELMALE; dopo aver spacciato – per il tramite dell’Istituzione scolastica – per obbligatorie le attività di somministrazione e correzione dei propri test; dopo aver investigato tra gli scaffali e i conti correnti delle famiglie; dopo questi ed altri numeri di illusionismo, la banda dell’INVALSI (in associazione coi loro “pali” al Ministero) ha assestato un altro brillante colpo al diritto all’istruzione: ha affermato (dopo decenni di scuola dell’inclusione) la secondarietà di alcuni alunni e alunne rispetto ad altri/e. “Le prove personalizzate non devono essere inviate all’INVALSI, né, tantomeno, i dati a esse relativi”, e dunque: “Fuori gli/le insegnanti di sostegno! Fuori i bambini e le bambine ‘meno uguali’! O se proprio devono stare dentro, zitti e mosca, e lavorare! E sul loro test ci mettiamo un bel codice di riconoscimento, che non si mescoli con gli altri!”.
Metterla così sembra brutale, ma a leggere la recente nota INVALSI sullo svolgimento delle prove 2010-2011 per gli allievi con bisogni educativi speciali, la si può mettere solo peggio- http://www.invalsi.it/snv1011/documenti/Nota_sugli_alunni_con_particolari_bisogni_educativi.pdf.
Dopo che la cattiva coscienza ha suggerito agli estensori di tale documento di disseminare il testo di ipocrisie benaugurali come “la più larga inclusione possibile” e simili, subito in Premessa si scrive che “le prove SNV […] non sono finalizzate alla valutazione individuale degli alunni, ma al monitoraggio dei livelli di apprendimento conseguiti dal sistema scolastico, nel suo insieme e nelle sue articolazioni.” Il che equivale a dire più o meno: non vi preoccupate, non ci interessano i livelli di apprendimento di alunni e alunne con disabilità o DSA, e non ci interessa nemmeno come il sistema scolastico ha lavorato con loro.
Occorre ricordare che l’ammissione di alunni e alunne ai test è una decisione che l’INVALSI rimette alla dirigenza scolastica, lavandosene le mani, non accennando neppure a consigli di classe o a gruppi operativi che pure avrebbero tutti gli elementi necessari per prendere decisioni in merito. Per l’INVALSI “la valutazione del singolo caso può essere effettuata in modo soddisfacente solo dal Dirigente scolastico”.
A breve distanza nel testo, con un refrain che riccorre con insistenza paranoica, si giustifica un simile approccio separatista richiamando l’attenzione sulla necessità di “consentire il rispetto del protocollo di somministrazione delle prove, garanzia della loro affidabilità e attendibilità”. L’individualizzazione del percorso educativo deve cedere il passo al principio di standardizzazione, l’insegnante di sostegno deve interrompere il proprio servizio, tutte le buone prassi educative della nostra scuola devono impallidire e adattarsi all’ospite INVALSI, al suo protocollo e ai suoi complessi di attendibilità.
Si dirà che l’insegnante di sostegno può sempre portare l’alunno o l’alunna in un’altra aula (se ce ne sarà una libera) e lì mettere in pratica quei normali strumenti dispensativi che invece l’INVALSI vieta di adoperare in classe durante le prove (leggere a voce alta il testo del quiz, ad esempio).
La richiesta, di per sé assurda, lo è a maggior ragione se è fatta (come in questo caso) da un ospite non invitato che considera plausibile (quando non auspicabile o persino obbligatorio) ciò che nella quotidianeità della vita scolastica non accade mai: che un alunno o una alunna escano dalla classe in quanto “incompatibili” con un protocollo.
Poca retorica: non possiamo non pensare a quel che potrebbe accadere nei prossimi giorni di test ad alunne e alunni normalmente seguiti da insegnanti di sostegno. Di colpo subiranno una sospensione delle regole. Se dovessero protestare, come è loro diritto, cosa gli racconteremo? Se pretenderanno di restare in classe anche loro, come è loro diritto; se, come i loro compagni e le lro compagne, vorranno avere tra le mani uno di questi magici fascicoli in grado di far diventare grandi i piccini e piccoli i grandi, come ci comporteremo? E poi, come e a che prezzo gestiranno la loro frustrazione quando dovremo accompagnarl* fuori? E se invece faranno la prova da sol* in classe, chi l* risarcirà per l’ansia e la fatica di un test che viene loro presentato come “importantissimo” e che dovranno affrontare senza il sostegno a cui hanno diritto?
La prossima settimana, in occasione delle prove-non-obbligatorie dell’INVALSI, pretendiamo che alunni e alunne restino in classe a fare scuola vera, pretendiamo di svolgere a pieno la nostra funzione di insegnanti di sostegno (insegnanti dell’intera classe) e pretendiamo infine che ogni richiesta di venir meno ai nostri obblighi di servizio ci venga messa per iscritto. Così facendo tuteleremo i nostri diritti di lavoratori e quelli all’istruzione di alunni e alunne del nostro sistema scolastico. Per i medesimi motivi rimandiamo al mittente tutti i tentavi che in questi giorni vengono compiuti di precettare gli insegnanti e le insegnanti di sostegno per la correzione delle prove INVALSI; ribadiamo che siamo pienamente consapevoli che queste prove sono un abuso didattico e che non sussiste alcuna obbligatorietà; difendiamo la nostra dignità davanti a quei dirigenti scolastici che l’hanno oramai perduta arrivando a promettere (spesso sapendo di non poter mantenere tali promesse) denaro del FIS che sarebbe illegittimo (oltre che meschino) usare in questo modo.

martedì 19 aprile 2011

Prove Invalsi: perché non fanno bene alla scuola pubblica

Un documento dell'Istituto comprensivo San Girolamo di Venezia


Ecco perché le prove INVALSI non

fanno bene alla Scuola Pubblica

_ sono uno strumento solo

apparentemente oggettivo;

_ producono una cultura

nozionistica e superficiale -

il contrario di quanto si è andato

affermando nella scuola:

approfondimento, collaborazione,

progettazione, verifiche mirate;

_ provocano ansia e agevolano

solo alcuni, tagliando fuori i più

abituati a contestualizzare,

chiarire e approfondire;

_ non tengono conto delle varie

e diverse intelligenze;

_ risultano estranei alle

progettazioni delle varie scuole

che sono invece spesso legate al

territorio e sono importati dai paesi

anglosassoni proprio quando questi

stanno cercando di liberarsene;

_ spingono a standardizzare

l'insegnamento, uniformando

le scelte didattiche alle richieste

dei test, senza più tener conto

delle caratteristiche del territorio,

delle singole classi e dei singoli

alunni;

_ creando classifiche diventano

motivo discriminante tra classi

e insegnanti;

_ spingono i docenti a modificare

la propria programmazione,

elaborata sulla realtà concreta

della classe, piegandola invece

all’addestramento ai quiz;

_ rischiano di fornire un quadro

distorto della realtà “scuola”

poiché sono strumenti inadeguati

a valutare il merito degli studenti

e degli insegnanti.;

_ spingono i docenti a modificare

la propria programmazione,

elaborata sulla realtà concreta

della classe, piegandola invece

all’addestramento ai quiz.

_ nelle ore di lezione i docenti

dovrebbero svolgere altre attività

regolarmente programmate,

in particolare nel mese di maggio,

momento delicatissimo per

gli studenti che non dovrebbero

essere distratti dalla preparazione

ai test Invalsi ma concentrare

tempo ed energie per lo studio

e il raggiungimento degli obiettivi

didattici programmati.

Cosa sono i test INVALSI

Il Ministero dell’Istruzione ha deciso

che gli studenti di tutte le classi 2°

e 5° delle scuole primarie (11 e 13

maggio), tutte le classi 1° (12 maggio)

e le 3° (esame di stato) delle scuole

medie e tutte le classi 2° delle scuole

superiori (10 maggio) dovranno

essere sottoposti ad una serie di test

per verificare le loro competenze

in italiano e matematica. I risultati

dei test andranno a determinare

un “punteggio” assegnato ad ogni

istituto scolastico. L’agenzia che

organizza questo lavoro si chiama

INVALSI, Istituto Nazionale per la

Valutazione del Sistema educativo

e di formazione. Per questo i test

sono chiamati “prove Invalsi”.

Testare il sistema o costruire

gerarchie?

Se le prove Invalsi avessero il solo

fine di “testare” il funzionamento

del sistema scolastico, sarebbero

state somministrate “a campione”

come oggi avviene con i dati PISA

(che confrontano le performance

dei sistemi scolastici di vari Paesi),

così avremmo un’idea “in generale”

sulla qualità dell’istruzione in

periferia e in centro città, al Sud

o al Nord. Al contrario le prove Invalsi

vengono somministrate in ogni

scuola in modo censuario, creando

così una classifica, presupposto

a una divisione in scuole di serie A e

serie B.

I “premi” solo al 25% delle scuole

Dal “progetto sperimentale per la

valutazione delle scuole” varato dal

Ministero nel novembre 2010: “alle

scuole che si collocano nella fascia

più alta della graduatoria (massimo

25% del totale) verrà assegnato un

premio di importo significativo (fino

ad un massimo di 70.000 euro a

scuola in base al numero degli

insegnanti).”. Questi premi non

servono ad incentivare alcun

miglioramento, dato che una scuola

di “serie B” dipende dal tipo di utenza

che la frequenta -classe sociale,

famiglia, ambiente- più che dalla

qualità dell’insegnamento.

Una scuola pubblica che vuol

garantire pari condizioni di accesso

all’istruzione, deve dirigere gli

investimenti e gli “aiuti” non alle

scuole “di successo”, perché non ne

hanno bisogno ma, al contrario, a

quelle con maggiori problematicità.

La Repubblica si impegna a

rimuovere gli ostacoli di ordine

economico e sociale, che, limitando

di fatto la libertà e l’eguaglianza dei

cittadini, impediscono il pieno

sviluppo della persona umana?

Gli studenti in difficoltà?

Un peso morto

L'importanza del punteggio spingerà

le scuole a scoraggiare la frequenza

degli studenti in difficoltà poiché

questi penalizzerebbero il punteggio

complessivo di quella scuola. Inoltre

tra i compiti dell’Invalsi c’è quello

di suggerire al Ministero metodi

per differenziare i docenti in base

al “merito”. Ciò indurrà i docenti ad

un atteggiamento ostile nei confronti

di tutti gli studenti in difficoltà.

Una didattica piegata alla soluzione

dei test – “teaching to test”

Nei Paesi anglosassoni, dove se

ne fa grande uso, la didattica è stata

“piegata” all’esigenza di superare

i test proprio perché dai loro risultati

dipendono qualità dell’utenza,

finanziamenti e stipendi. Sono i test

che comandano sulla didattica.

Già oggi fioriscono le pubblicazioni

di testi di preparazione all' Invalsi e

una parte del tempo in terza media

è dedicata all' “allenamento”

per il superamento di questi test.

Cosa accadrà quando da quei

risultati dipenderanno finanziamenti

e stipendi?

Esistono competenze e abilità

che i test non possono misurare

Esistono molti dubbi sulla possibilità

che hanno i test di valutare gli

apprendimenti. I test valutano

la nozione più del ragionamento,

il dato più del processo. Non possono

misurare: la capacità di riflessione

critica, la capacità di esporre il

pensiero, il livello di partenza

e quello di arrivo, la partecipazione.

Misurando solo l’acquisizione

di una serie di dati, stimolano una

frammentazione della didattica.

Esaltando la performance personale

spingono alla competizione a scapito

della cooperazione.

Le prove Invalsi sono

particolarmente negative nella

scuola primaria

I bambini/e della scuola primaria,

dove l'educazione prevale sulla

didattica, non sono abituati a

verifiche di questo tipo, con uso

di cronometro, ma al ragionamento

e alla riflessione. Il linguaggio delle

prove richiede capacità di

concentrazione e comprensione.

Lo sforzo mentale necessario per

passare da un campo cognitivo

all’altro, da un concetto ad un altro,

crea in alcuni casi stati di ansia.

Il tempo di somministrazione è

troppo limitato.

Per l’Invalsi i bambini e le bambine

con disabilità, i bambini

e le bambine di altra cultura,

sono invisibili.

Per questi motivi non manderemo

i nostri figli a scuola nei giorni

11 e 13 maggio alle primarie

e 12 maggio alle medie e vi invitiamo

a difendere la scuola pubblica

facendo lo stesso.

Approvato dalla Componente

Genitori del Consiglio

di Istituto San Girolamo

con 1 astenuto